LA LEADERESHIP SECONDO VELASCO

Un leader deve innanzitutto essere se stesso. Quello che non funziona di sicuro è chi vuol essere quello che non è, perché gli altri se ne accorgono subito. Un leader che si propone come leader e poi risulta che dietro non c’è, perché è apparenza, non funziona. Non è detto che un leader debba essere sempre un duro, c’è chi non lo è per esempio, però in entrambi i casi sono sempre se stessi e hanno un modo di approcciarsi ai giocatori che dà loro risultati e funziona.

Un leader deve essere autorevole. Deve sapere molto di quello di cui parla, sapere i particolari, non parlare attraverso schemi preconfezionati, perché gli altri si accorgono subito anche di questo. Quando uno sa non ha paura che gli facciano delle domande, non ha problemi a discutere della cosa, non cerca di ridurre tutte le situazioni allo schema preconfezionato. Si apre alle diverse situazioni perché il tema lo conosce bene. Se non conosciamo bene il tema, ci dobbiamo mettere a studiare, ascoltare gli altri che magari hanno più esperienza.

Un leader deve essere giusto. L’idea di giustizia è importantissima. Agli occhi della squadra il leader deve essere e sembrare giusto nei confronti di tutti. E quando non possiamo essere giusti allo stesso modo con tutti perché le circostanze sono cambiate, dobbiamo motivare la nostra scelta diversa spiegandola bene. Il leader deve pensare a tutte le cose che capitano nella squadra – tenendo il filo di tutto – e ricordarle, perché quando siamo capi di organizzazioni non diamo ad esse importanza. Perché ciò che per il leader è trascurabile magari ha una grandissima importanza per un nostro collaboratore, e il leader lo deve tenere ben presente in modo che il collaboratore riconosca il suo modo di gestire.

Un leader deve combinare la grande esigenza in certi aspetti con l’aiutare quando ci sono dei problemi. Il leader è l’elemento di motivazione perché deve controllare, chiedere, pretendere.. ma deve anche rendersi disponibile per risolvere i problemi.

Un leader deve coltivare il senso d’appartenenza. Il senso di appartenenza nasce per questioni affettive, non tecniche. E’ necessario creare situazioni di affettività che siano compatibili con le situazioni di grande esigenza. Se il leader è troppo affettivo e non c’è sufficiente richiesta ed esigenza, si creano quelle situazioni di troppa confidenza che non fanno rendere  al massimo; se invece non c’è anche affettività su certe cose non si crea senso di appartenenza. La squadra non ci dà il massimo. E per affettività si intendono anche le piccole cose. Guardare le cose anche dalla prospettiva dell’altro, non solo dalla mia parte. L’affettività crea senso di identità, senso di appartenenza.

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